L’espressione di Metafisica del bello, con la quale Schopenhauer intitola le proprie Lezioni berlinesi sul terzo libro del Mondo come volontà e rappresentazione, allude ad una considerazione dell’arte dal punto di vista del sistema metafisico piuttosto che da quello di una estetica. Quest’ultimo termine si andava proprio nel primo ventennio del secolo affermando per indicare una scienza filosofica che aveva per oggetto il bello in generale e l’arte in quanto produttiva di opere belle, ed essa aveva tra i propri fini importanti quello di istituirne il concetto in modo da apprestare dei criteri valutazione capaci di farci contraddistinguere il bello dal brutto, l’opera d’arte valida da quella che si pretende soltanto tale. Benché il percorso di Schopenhauer sia disseminato di valutazioni estetiche – che manifestano predilezioni preferenze di gusto, pregiudizi – tuttavia la sua non è prevalentemente una estetica nel senso or ora indicato proprio per il fatto che non ha di mira propriamente lo stabilire dei criteri di valutazione. Anche in questo caso, come nelle problematiche etiche nel quarto libro, vi è una sorta di punto di partenza empirico più o meno tacito: in generale vi sono opere che noi giudichiamo belle, così come giudichiamo talvolta belle le opere della natura; e vogliamo indagare sul fondamento di questi giudizi, sulle radici dell’operare

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