Con la Critica del Giudizio Kant trova la forma sistematica del suo pensiero nelle due parti della filosofia e nelle tre Critiche delle facoltà superiori di conoscere, ed affronta il territorio d’esperienza più ostile a una riduzione quantitativo-meccanicistica o etico-morale. In che misura soggettività, sentimentalità, bellezza e finalità possono produrre universalità e costituire una vera esperienza? La forma del “come se” in cui Kant risolve il “giudizio riflettente” non toglie che qui egli si avvicini a un territorio precategoriale di esperienza che solo la sua prima deduzione trascendentale e il capitolo sullo schematismo avevano osato porre in questione indicando nell’immaginazione l’origine comune di sensibilità e intelletto. La bellezza come oggetto propriamente umano e il libero accordo della sensibilità e dell’intelletto di fronte all’immediata presenza sensibile dell’oggetto singolare, da un parte, e l’idea estetica che esibisce più di quanto il pensiero possa pensare nei suoi concetti, dall’altra, mettono di nuovo in gioco, nella Critica del Giudizio, il ruolo dell’immaginazione al di là di una sua subordinazione oggettivistica all’intelletto e della sua condanna a una totale irrilevanza etica.

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