Filosoficamente l’odissea è il percorso dell’allontanamento dal sé, della peregrinazione nell’esteriorità e del ritorno alla patria, ossia il ritrovamento di un autentico rapporto tra l’io e il mondo. Se già Schelling attribuiva tale processo al movimento della coscienza, Jankélévitch lo estende sia al riconoscimento dell’intenzione morale sia all’individuazione di un possibile, anche se problematico, senso dell’esistenza. In questo contesto la musica assume un ruolo privilegiato, non solo nel rappresentare l’impalpabilità e l’ineffabilità dell’oggetto filosofico, ma soprattutto nel riuscire a costituire, in virtù della sua essenza temporale, l’articolazione più vivida e concreta di un cammino metafisico, di un’odissea, appunto, che parte dalla finzione per giungere alla realtà, dallo smarrimento esistenziale per approdare a una possibile prospettiva utopica. I nodi cruciali del pensiero jankélévitchiano, che qui vengono ripercorsi e analizzati, acquisiscono così, grazie al loro intrinseco rapporto con la musica, un’inedita apertura teorica.

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