L’espressione “filosofia del vissuto” funge in questo libro da categoria storica. Essa designa una vasta area della riflessione filosofica a cavallo tra Ottocento e Novecento, in cui vengono incluse alcune tra le figure più rappresentative e influenti del pensiero contemporaneo: Brentano, James, Dilthey, Bergson, Husserl. Questa area non presenta certamente l’aspetto di una scuola o di un movimento unitario di pensiero; ciò che la caratterizza, rendendola omogenea e suscettibile di una trattazione unificante, è un comune richiamo alla soggettività, all’Erlebnis. Non il mondo oggettivo, ma l’esperienza soggettiva del mondo è ciò che diviene qui ad un tempo l’oggetto e la fonte del sapere filosofico. Da questa linea di tendenza la filosofia del vissuto riceve la sua fisionomia e la sua rilevanza storica, situandosi al tramonto dell’idealismo e del positivismo ottocenteschi e alle origini della filosofia del nostro secolo.

Una linea di tendenza comune non significa tuttavia che siano comuni anche le prospettive, i metodi, gli utenti. La ricerca di Alfredo Civita – un’indagine che si sviluppa attraverso una rigorosa analisi dei testi – dimostra proprio il contrario. I tratti di somiglianza fanno risaltare le differenze; le convergenze servono a individuare i nodi problematici in cui la tendenza comune si ramifica, diversificandosi non soltanto sotto un profilo strettamente teorico, ma anche rispetto a temi di più ampio significato culturale e ideologico.

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